Il pranzo di Natale delle clarisse di San Vito di Pisa tra gli anni 30 e 60 del quattrocento

Nel quattrocento tenere i registri di entrata e uscita fu un obbligo per molti superiori e camarlinghi (economi) di un convento, come lo fu la loro approvazione da parte di un’autorità sovrastante. Non fecero eccezione le clarisse di San Vito di Pisa, che per mano della badessa o delle suore addette, compilarono con bella scrittura dei quaderni che sono fonti di notizie sulla vita quotidiana del loro tempo.

La povertà e i debiti
I registri qui ‘spogliati’ appartengono al periodo compreso tra gli anni 30 e 60 del quattrocento e mostrano una significativa trasformazione delle condizioni di vita del convento confrontabile con quella delle popolazioni di Toscana. Erano passate infatti le guerre di Firenze contro Lucca (1429-1433), fu vinta la battaglia di Anghiari (29 giugno 1440) versus i milanesi e aveva avuto luogo la pace a Lodi tra le repubbliche italiane (1454). Maggior benessere (o minor miseria) quindi divennero una concreta prospettiva per le istituzioni e anche per le nostre suore che scrissero e mostrarono nelle note il lento progresso delle loro finanze. Poterono di conseguenza ‘allargarsi un poco’ e a Natale – o Pasqua di Natale come usarono dire –, con l’aumento delle offerte dei fedeli, saldarono qualche debito ....
Ad esempio, nel 1433 rimborsarono Pietro Masara di un prestito di 25 fiorini con il “merito” (= interesse) di 20 lire.
Nel 1435 scrissero: “Item demmo a maestro Francesco da Pistoia per ricogliere lo breviario del convento fiorini 35 (lo avevano dato in pegno); e nel settembre 1441: “Item demmo a Isacha giudeo per ricoglere lo fregio grande de l’ariento fiorini 30” (anche il grande fregio d’argento era stato impegnato a Isacco ebreo per un prestito).
Nel dicembre 1440 finalmente poterono far levare l’interdetto “del debito de la chiesa”.

Cibo e bevande d’Avvento e di Natale
Durante l’Avvento le suore comprarono fave, fagioli, spinaci, ceci, cipolle, cicerchie, olio (da Montemagno, 1456), erbucce, fichi, sorra (= pancetta e schiena di tonno) da aggiungere ai prodotti certi ma non menzionati dei poderi, dell’orto e del pollaio propri.
Festeggiarono anche come usuale eccezione nel periodo di penitenza prenatalizio la III domenica di avvento, detta di “Ghaudete” dall’introito Gaudete in Domino semper (1446, 1462). Per Natale, in un refettorio adornato da tovaglie bianche ben lavate, consumarono le vivande della festa secondo i tempi e le possibilità: la carne di castrone (1431), quella di un porco portato al convento (1435), i migliacci e i fegatelli ricavati (1449), il pesce e i gamberi che in parte provennero dai canali di proprietà di Stagno (Livorno), un quarto di nocelle o nocciole la mattina di Natale (1445), le lasagne (1445), la torta di uova e formaggi freschi da offrire al monastero, al confessore e al servitore (1450, 1451), la “gialatina” composta con “una dolce [sic] e spesiarie” (1458).
Bevvero anche il gradito vino, che in verità era consumato in gran quantità tutto l’anno. A Natale saldarono pure i debiti contratti per acquisirlo dalle consorelle – proveniente forse dalla loro famiglia o da doni personali – o dai privati come ser Francesco dal Campo: “di vino avuto innanzi la guerra ... l. 32” (1435).
Altri luoghi di provenienza dell’onniprensente bevanda furono: “Cieghuli” (Cevoli), San Rufino (vermiglio 1439, venditore Giovanni 1439, 1457), San Regolo e Luciana (1442), Tripalle (1451), Valdiserchio (145), Capannoli (1455), Vecchiano (1456), un generico Valdarno (1456) e Uliveto (1456).
Pregiato e consumato fu il vino corso, più raramente quello bianco (1463) e la malvasìa (1440).

Il confessore
Le suore si prepararono al Natale con la penitenza e il sacramento della confessione impartito da un frate Minore che si occupò delle liturgie di tutto l’anno e ebbe una sua colletta o raccolta di offerte. A ringraziamento e per consuetudine, in Avvento e a Natale, le suore gli presentarono dei doni, come ricordarono nei registri: pane, vino bianco, pesce (molto frequente), gamberi, uova, pepe e zafferano, carne (“capodanno” 1440), una pollastra (1448), un paio di polli e la salsiccia (la mattina di Natale 1459). Non ricordarono il suo nome, con l’eccezione di un fra Piero da Montepulciano confessore nel 1458.

La visitazione del Ministro
Le suore e la loro amministrazione inoltre furono soggette all’ispezione annuale del Ministro provinciale dei frati Minori, effettuata quasi sempre a dicembre e di durata di tre-quattro giorni. Dettero pertanto al visitatore il vitto e i doni d’usanza. Comperarono per lui un paio di pollastre, formaggi bufalini e secchi, zuccherini (1434), riso, mandorle, pepe, spezie e zafferano, pesce e pane (1439), un fiasco di malvasia (gennaio 1440), capponi e piccioni (1441), mostarda, gamberi e “bbiscottelli” (1467).

I benefattori
Il 16 dicembre 1439 le suore scrissero: “demmo ... per far cogliere uno migliaio d’aranci s. v d. vi” – l’aranceto del convento fu di certo grande e bello per avere così tanta produzione – e proseguirono con il ricordo di due “corbelli” di questo agrume mandati a Firenze ai benefattori.
Nel 1445 invece inviarono il pesce “per presentare a Fiorensa certi amisci del monastero” che si erano interessati ai loro diritti sui canali di Stagno.
Nel periodo natalizio donarono anche delle galline alla famiglia dei Gaetani (1447, 1452, 1457), forse in ringraziamento o per chiedere un favore.

I dolci e l’onore del monastero
Le clarisse di San Vito però furono note soprattutto per i dolci che sempre nel tempo di Natale donarono a personaggi o istituzioni “per onore del monastero”, come scrissero. Furono i tipici:
– buccellati (con anici, zucchero e uova) che nel 1445, forse eccezionalmente, fece il fornaio;
– panmostaccio (con miele, spezie, pepe e zafferano, zenzero e garofano nel 1442) presentato anche in Sardegna, dove avevano proprietà, “al nostro procuratore prete Giovanni Corda” (1458);
– zuccherini (uova e zucchero) donati all’abate di San Michele in Borgo (1463, 1465 frate Filippo abate), o ai consoli del Mare e al provveditore delle Gabelle (1467);
– berlingozzi (uova) destinati sempre al provveditore dei Consoli (1435, 1450), a un altro provveditore senza qualifica (“e danno un fiorino” – da intendere per elemosina –1442), e ancora ai provveditori delle Gabelle (1445).

Le botteghe cittadine
Le clarisse infine annotarono occasionalmente, i nomi di alcune botteghe e di bottegai di Pisa dei loro tempi. Quelli citati nelle spese di Avvento e Natale furono: Rosetto tavernaio (1439), Giovanni di Bergo speziale (gennaio 1440), la bottega dei da Foligno (1441), Mariano di Provinciale per carne (1449), Prospero di Goro e compagni per formaggio fresco e secco (1449), Piero di Pone per cacio fresco, bufalino e salato (1455, 1457), Iacopo e Andrea speziali (1460), e forse un certo Antonio sempre per carne e cacio (1462).

Paola Ircani Menichini, 23 dicembre 2023.
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